lunedì 29 dicembre 2008

La cultura della terra e dalla terra

Cultura deriva da coltivare, lavorare la terra.
Ma significa anche, partendo dai prodotti e dalle radici della terra stessa, costruire ( e quindi coltivare) le relazioni e i percorsi che - passando attraverso le tradizioni, i racconti, la memoria - ci permettono, utilizzando la musica, il disegno e la scrittura, di avere a disposizione le conoscenze necessarie per formare la nostra Cultura nel significato oggi più comunemente usato.
Il problema è che, esattamente come i prodotti della terra, la Cultura è spesso manipolata in funzione del potere e del profitto e diventa “immangiabile” perché non genuina e/o inavvicinabile perché troppo costosa.
Nella rassegna “Coi piedi per terra” accade il contrario: la qualità dei prodotti dei campi va di pari passo con la bontà delle serate (gratuite) che proponete.
Così, come la terra ci dona i suoi frutti, voi ci regalate Cultura, quella genuina, quella immediata e spontanea tale che possa essere colta da tutti, anche dal più povero, come se cogliesse, senza costrizioni, una mela da un albero in libera campagna.
Allora, tutto assume un senso intelligente e vero che coinvolge le persone nel :
gustare la schiuma della birra artigianale insieme al brio delle ballate del Sud attraverso la musica trascinante di Massimo Ferrante,
assaporare il miele dell’Apicoltura Nomade immergendosi tra i cerri dell’Appennino tosco-emiliano, nella linea gotica, durante la Resistenza combattuta dai partigiani ( nomadi per necessità, più che per vocazione),
libare, quasi accarezzandolo con le labbra, il vino dell’amico Scovero, ricordando con Darwin Pastorin , il grande Gaetano Scirea, uno che la terra l’accarezzava con i tacchetti per far sognare grandi e piccini.

Vorrei, perciò, dedicare al vostro impegno e al vostro modo di proporre ( e di fare) Cultura alcuni versi che Pasolini dedicò, allora, alla bandiera rossa.
Credo che oggi possano essere leggermente modificati per adattarli senz’altro al modello culturale che anima le vostre iniziative:

“…tu, cultura, che già vanti tante glorie borghesi e operaie ridiventa straccio e il più povero ti sventoli”

Grazie, ancora una volta, per quello che fate per Cernusco e per tutti noi.

Gabriele Calvanelli

Se passate da via Zuretti…

Via Zuretti.
Non è lontana dalla Stazione Centrale nella quale, negli anni ’50, arrivavano a migliaia le valigie di cartone degli allora migranti – nostri nonni o nostri padri – provenienti dalle zone più povere d’Italia.
Ed è vicina anche alla via Gluck dove, ormai da tempo, al posto dell’erba ora c’é una città, come recitava la famosa canzone.

Andateci, in via Zuretti.
Scoprirete anche lì cemento e cemento. Ma non solo.
In un angolo, quasi in fondo alla via, troverete dei mazzi di fiori, tanti fiori.
E in mezzo ai petali, una moltitudine di bigliettini scritti a mano e col cuore da persone di ogni età.
Sono messaggi di scuse e d’amore rivolti a quel ragazzo che sorride nelle foto attaccate alla parete.
Lì, di fronte a quelle foto, ci troverete anche gente che si ferma piangendo e altra che, quasi per rispetto, si allontana frettolosamente con gli occhi lucidi.
E se guarderete attentamente il marciapiede, vedrete ancora del sangue per terra.

Capirete allora il senso della pietà e del dolore e il senso della vergogna e dell’orrore per una violenza bestiale frutto di un odio razziale fomentato e iniettato ad arte, giorno dopo giorno, da un potere che vuol far apparire il diverso come il problema e il nemico principale per questo paese.

Pur che questo diverso sia povero, naturalmente.

Se andate in via Zuretti portateci i vostri figli e fate vedere loro come oggi, nel 2008, muore un fiore, nel pieno della sua vita, ucciso dall’indifferenza e dall’ignoranza.

Gabriele Calvanelli